Di Melissa Christianson A cura di Dr Jeff Carroll Tradotto da Raffaella Ilice e Panel Traduttori Volontari di AICH-Roma ONLUS

Nella Malattia di Huntington, le cellule del cervello iniziano a morire molto prima che insorgano i sintomi della malattia. Sfortunatamente, strumenti adatti per monitorare gli iniziali cambiamenti cerebrali – e testare se le nuove terapie li rallentino o fermino – precedentemente non erano disponibili. Uno strumento sviluppato di recente, tuttavia, con l’obiettivo di superare questo problema, probabilmente significa grandi cambiamenti per il modo in cui tracciamo la Malattia di Huntigton.

I sintomi nella Malattia di Huntington sono causati dalla morte di cellule cerebrali in parti specifiche del cervello. Una delle curiose caratteristiche della malattia, però, è che sintomi esteriori di solito non compaiono finché un buon numero di cellule non sono già morte. Esiste, quindi, un grande scollamento tra i tempi dei cambiamenti del cervello ed i sintomi esteriori dell’Huntington.

Tale scollamento rende il trattamento tempestivo e proattivo della Malattia di Huntington veramente importante. Per capire perché, immaginiamo l’Huntington come un incendio che divampa all’interno di un edificio. Se nessuno chiama i vigili del fuoco finché metà dell’edificio non si è carbonizzato, per quando la squadra antincendio sarà arrivata così tanta parte dello stabile sarà andata persa che neanche il massimo sforzo lo salverà.

Provare a curare la malattia di Huntington senza vedere le iniziali modificazioni nel cervello è come provare a spegnere un incendio ad occhi chiusi.
Provare a curare la malattia di Huntington senza vedere le iniziali modificazioni nel cervello è come provare a spegnere un incendio ad occhi chiusi.
Immagine di: Freeimages.com

Trattare in modo efficace la Malattia di Huntington, pertanto, quasi certamente richiederà di intervenire prima che la perdita di cellule cerebrali provochi sintomi esteriori. Sfortunatamente, non esistono ancora strumenti adeguati per rilevare i cambiamenti cerebrali nelle prime fasi dell’Huntington. Questa mancanza di strumenti è un problema, perché significa che i medici e gli scienziati sono essenzialmente ciechi in merito a ciò che sta succedendo nel cervello nelle prime fasi della malattia.

Ritornando alla nostra analogia con l’incendio, cercare di trattare la Malattia di Huntington non riuscendo a vedere gli iniziali cambiamenti nel cervello è come cercare di domare le fiamme con gli occhi chiusi. Se non si può vedere il fuoco, non si può sapere se lo si sta fermando – o se invece si sta puntando l’idrante nella direzione completamente sbagliata. Allo stesso modo, se i dottori non possono vedere i cambiamenti cerebrali iniziali nella Malattia di Huntington, non potranno dire con precisione se le nuove terapie prevengono o rallentano questi cambiamenti. Ciò significa che essi devono trascorrere tempo prezioso – tempo che gli individui con questa malattia non hanno – aspettando lo sviluppo di sintomi esteriori prima di determinare se un trattamento abbia qualche speranza di funzionare.

Per evitare questo gioco di attesa, abbiamo urgente bisogno di strumenti per rilevare gli iniziali cambiamenti cerebrali nella Malattia di Huntington. Proprio come gli strumenti per monitorare la temperatura delle fiamme forniscono informazioni importanti sullo stato dell’incendio, così gli strumenti per monitorare i primi cambiamenti del cervello nell’Huntington forniscono importanti informazioni circa lo stato della malattia.

Segno, segno, Ovunque un segno

In clinica, tali strumenti di monitoraggio sono conosciuti come “biomarcatori”. I biomarcatori danno segni o segnali di ciò che sta accadendo in malattie come quella di Huntington. Possono essere qualsiasi tipo di test – dalle analisi del sangue a test sul pensiero o scansioni cerebrali ed altro ancora – ma tutti loro hanno una cosa in comune: essi misurano qualcosa di concreto circa la malattia. Un buon biomarcatore ci permette di monitorare lo stato della malattia, il che è importante per prevedere la progressione o dire se il trattamento sta funzionando.

Da un punto di vista pratico, dunque, i biomarcatori sono davvero importanti per la comunità Huntington perché possono rendere la sperimentazione di nuovi farmaci più veloce e affidabile. Avere buoni biomarcatori potrebbe essere una potente arma nella lotta contro la malattia.

Un Biomarcatore per PDE10

Fortunatamente, un buon biomarcatore dei cambiamenti cerebrali iniziali nella Malattia di Huntington può trovarsi appena oltre l’orizzonte. Il nuovo biomarcatore è focalizzato sulla PDE10 – una proteina del cervello che ha già fatto un tuffo nella comunità di ricerca di Huntington. Gli scienziati pensano che la PDE10 aiuti le cellule cerebrali a comunicare tra di loro e che potrebbe essere un buon bersaglio f per la malatarmacologicotia. Negli animali, i farmaci mirati-PDE10 migliorano la sopravvivenza delle cellule cerebrali e ritardano l’insorgenza dei sintomi simili a quelli dell’Huntington. Nella clinica, una sperimentazione in corso che recluta soggetti sta ora testando se i farmaci mirati-PDE10 migliorano i sintomi negli umani con MH.

«Il marcatore biologico PDE10 potrebbe essere di grandissima importanza per la comunità Huntington perché offre un modo semplice ed accurato di monitorare le iniziali modificazioni cerebrali nella malattia »

Due caratteristiche rendono la PDE10 particolarmente adatta come biomarcatore per la Malattia di Huntington. In primo luogo, si trova quasi esclusivamente in alcune parti del cervello in cui le cellule cerebrali muoiono nella Malattia di Huntington. Come biomarcatore, dunque, darebbe informazioni specifiche su aree problematiche della malattia. In secondo luogo, sebbene queste cellule cerebrali producano molta PDE10, esse cominciano a produrne sempre meno prima di morire per l’Huntington. Un biomarcatore PDE10, quindi, fornirebbe informazioni sulle cellule cerebrali che sono malate, ma non ancora morte.

Insieme, questi due elementi di informazione darebbero alla PDE10 il potenziale per essere davvero un potente biomarcatore – uno che permetterebbe ai medici di monitorare in particolare la salute delle cellule cerebrali a rischio nella Malattia di Huntington, prima che i sintomi esteriori si sviluppino.

Brilla, Piccolo Biomarcatore, Brilla

Con questa idea in mente, gli scienziati della Pfizer hanno creato un biomarcatore PDE10 per il rilevamento delle modifiche cerebrali iniziali nella Malattia di Huntington.

Essenzialmente, il nuovo biomarcatore è una sostanza selettiva e appiccicosa che si attacca saldamente alla PDE10 ma non ad altre proteine nel corpo. È importante sottolineare che questa sostanza selettiva e appiccicosa ha minuscoli frammenti luminosi attaccati ad essa. Anche se piccoli, questi frammenti luminosi sono una grande aggiunta: permettono agli scienziati di rilevare, usando una speciale macchina fotografica, la sostanza ovunque vada. La sostanza in quanto tale è sicura, così gli scienziati possono somministrarla agli individui con Malattia di Huntington – e poi guardare dove si dirige all’interno del corpo umano. Gran parte del nuovo biomarcatore finisce attaccato alla PDE10 nelle cellule cerebrali, il che significa che esso si accumula esattamente nelle aree del cervello che noi vogliamo osservare nella Malattia di Huntington. In queste aree, cellule sane (con molta PDE10) brillano più luminose delle cellule malate (con solo poca PDE10) in pericolo di morte. Misurando la luminosità del biomarcatore che brilla con una macchina fotografica speciale, di conseguenza, gli scienziati possono monitorare nel corso del tempo la salute di queste cellule cerebrali a rischio.

Mettendolo alla prova

Gli scienziati della Pfizer hanno inserito questo nuovo strumento per una prova pratica in uno studio pubblicato sul Journal of American Medical Association.

Nel loro studio, gli scienziati hanno fotografato zone vulnerabili del cervello di Huntington illuminate dal loro nuovo biomarcatore brillante, e hanno guardato da vicino le immagini per vedere se le regioni sembravano differenti in individui con o senza Malattia iniziale di Huntington. È importante sottolineare che gli individui con l’Huntington in questo studio avevano la malattia davvero allo stadio iniziale: o solo lievi sintomi o nessun sintomo.

Il nuovo marcatore biologico PDE10 potrà presto migliorare e accelerare la ricerca di terapie nella Malattia di Huntington
Il nuovo marcatore biologico PDE10 potrà presto migliorare e accelerare la ricerca di terapie nella Malattia di Huntington
Immagine di: Freeimages

Quando gli scienziati hanno analizzato le immagini, hanno scoperto che le regioni del cervello dei diversi gruppi di soggetti, sembravano effettivamente molto diversi – anche se non c’erano evidenti differenze nei sintomi esteriori tra soggetti con e senza Malattia di Huntington. In particolare, per importanti regioni del cervello, il bagliore proveniente dal biomarcatore PDE10 era più brillante nei volontari sani che nelle persone con MH. C’era, quindi, una forte relazione tra la luminosità del nuovo biomarcatore PDE10 e l’estensione della malattia. Tale relazione era molto più forte di quanto gli scienziati erano in grado di rilevare con gli strumenti esistenti.

Sulla base di questi risultati, gli scienziati credono che il loro nuovo biomarcatore sia sensibile ai cambiamenti cerebrali iniziali nella MH.

Come ci aiuterà tutto questo?

Il biomarcatore PDE10 potrebbe essere uno strumento davvero potente per la comunità Huntington, perché offre un modo semplice e accurato per monitorare i cambiamenti cerebrali iniziali nella malattia. Un miglior monitoraggio della malattia consente di valutare se un potenziale trattamento sta funzionando, sia in modo più semplice sia in modo più preciso, il che accelera le sperimentazioni cliniche. Perciò, anche se il biomarcatore di per sé non è un trattamento, potrebbe direttamente migliorare e accelerare la ricerca di nuove terapie per Huntington.

Tale biomarcatore, inoltre, potrebbe consentire ai medici di prevedere quando un individuo con Huntington presintomatico inizierà a soffrire la malattia sintomatica. Tale previsione sarebbe preziosa sia per gli studi clinici (dove è importante testare terapie nei pazienti il cui stato esatto della malattia è noto) sia per le persone che vivono all’ombra di un’incombente malattia sintomatica.

La linea di fondo

È incoraggiante vedere che un’azienda farmaceutica grande e dotata di risorse adeguate abbia investito nell’esecuzione di sperimentazioni cliniche efficienti ed efficaci per la Malattia di Huntington. Anche se gli scienziati della Pfizer devono svolgere più lavoro per verificare la sensibilità del loro nuovi biomarcatore, i potenziali benefici di questo nuovo strumento di ricerca per le terapie di Huntington sono chiari. Su tutta la linea, lo sviluppo e la validazione di buoni biomarcatori accelererà la ricerca per un trattamento efficace.